
La raccolta dei dati da parte delle grandi aziende del web genera preoccupazione negli utenti, che spesso cercano soluzioni, come VPN o estensioni che bloccano il tracciamento. Tuttavia, la raccolta e l'analisi dei dati su ciò che facciamo online può spesso essere molto utile e presentare diversi aspetti positivi, che spesso ignoriamo o trascuriamo. In questa puntata vediamo come le pubblicità online e la profilazione in generale possano essere vantaggiose non solo per le aziende, ma anche per gli utenti stessi.
Nella sezione delle notizie parliamo di un ulteriore passo verso la fusione nucleare, di Amazon che sta cercando un’alternativa ai codici a barre e infine dei nuovi chip Wi-Fi 7 di Qualcomm.




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Salve a tutti, siete all'ascolto di INSiDER - Dentro la Tecnologia, un podcast di Digital People e io sono il vostro host, Davide Fasoli.
Oggi vedremo che cos'è la profilazione dei dati sul web, e come le grandi aziende tecnologiche riescano a proporre servizi gratuiti in cambio di qualche informazione su di noi.
Prima di passare alle notizie che più ci hanno colpito questa settimana, vi ricordo che potete seguirci su Instagram a @dentrolatecnologia, iscrivervi alla newsletter e ascoltare un nuovo episodio ogni sabato mattina su Spotify, Apple Podcast, Google Podcast oppure direttamente sul nostro sito.
Il 13 dicembre è una data che verrà ricordata per il compimento di un ulteriore ma fondamentale passo verso la fusione nucleare.
La tecnologia a fusione, infatti, permetterà in futuro di produrre e fornire enormi quantità di energia pulita, sicura e senza produzione di scorie.
Al contrario della fissione, ossia la tecnologia delle centrali nucleari moderne, la fusione utilizza due atomi di idrogeno che, grazie a enormi energie e temperature, si fondono in un atomo di elio e scatenano energia.
Gli esperimenti condotti fino ad ora, però, vedevano l'energia prodotta molto inferiore all'energia usata per scatenare la reazione, di fatto un bilancio energetico negativo e inutile allo scopo di produrre energia.
Il 5 dicembre, tuttavia, il Centro di Ricerca Lawrence Livermore National Laboratory in California, grazie al laboratorio NIF, è riuscito a produrre, utilizzando 192 fasci laser, un'energia pari a 1,5 volte quella in ingresso, con un bilancio energetico finalmente positivo.
C'è da dire però che non è stata tenuta in considerazione l'energia usata per alimentare i laser, che, data la loro inefficienza, hanno comunque, nel complesso, di gran lunga superato l'energia prodotta dalla fusione.
Inoltre, la reazione sperimentata non è al momento riproducibile su larga scala in un reattore commercializzabile.
Insomma, seppure siamo ancora lontani dal produrre energia grazie alla fusione, gli esperimenti come questi ci dimostrano che ci stiamo avvicinando sempre di più all'energia del futuro.
Amazon sta sperimentando l'utilizzo di un sistema basato sulle immagini per identificare gli articoli nei suoi magazzini, con l'obiettivo di sostituire il codice a barre che viene utilizzato da quasi 50 anni.
Il sistema noto come identificazione multimodale, o MMID, si basa sul riconoscimento dell'aspetto e delle dimensioni dell'articolo per identificarlo in modo più preciso e veloce.
Attualmente, l'MMID viene utilizzato solo in alcune fasi del processo di approvvigionamento degli articoli, ma Amazon sta lavorando per estenderne l'uso anche al prelievo e all'evasione degli ordini.
L'MMID è arrivato ad una precisione del 99% grazie ad un modello di apprendimento automatico basato su immagini dei prodotti mentre viaggiavano sui nastri trasportatori dei magazzini.
Il codice a barre presenta alcuni limiti, come il rischio di danneggiamento e richiede di maneggiare la confezione per individuarlo.
L'MMID invece consente di identificare gli articoli senza toccarli, riducendo i tempi di gestione e aumentando l'efficienza del processo.
In futuro, Amazon prevede di utilizzare l'MMID anche per altri scopi, come il monitoraggio della qualità degli articoli e la prevenzione del furto.
Qualcomm ha recentemente presentato due nuovi chip che implementeranno il Wi-Fi 7 su alcuni dei più importanti router del mercato.
La rivoluzione nel passaggio dal Wi-Fi 6 al nuovo standard si tradurrà principalmente in un ulteriore miglioramento della stabilità e affidabilità delle connessioni, e le tecnologie che verranno implementate, come il Multilink Operation, che favorirà i dispositivi di connettersi a due bande contemporaneamente, puntano a creare una connessione meno soggetta a interruzioni e dispersioni, tanto che si inizia già a parlare dell'obsolescenza delle connessioni Ethernet.
I dispositivi Wi-Fi 7 potranno dunque operare sulle bande 2.4, 5 e 6 GHz, gestite dai due nuovi processori, i quali consentiranno di raggiungere una capacità di picco fino a 20 Gbps.
Qualcomm ha dichiarato di avere già spedito una parte dei chip per dare la possibilità ai suoi partner di iniziare con le sperimentazioni e secondo le previsioni i primi dispositivi Wi-Fi 7 con i nuovi processori dovrebbero essere commercializzati entro la seconda metà del 2023.
Negli ultimi anni è sempre maggiore e sempre più diffusa la paura di essere tracciati online, di vedere la propria privacy violata, soprattutto dalle grandi aziende del web, che sfruttano i dati raccolti su di noi per guadagnare dalla vendita di pubblicità e altri servizi.
E proprio per questo in molti sono corsi ai ripari cercando soluzioni alternative, utilizzando VPN o estensioni che bloccano le attività di tracciamento o facendo valere i diritti del GDPR per eliminare le proprie tracce dal web.
Ma quanto dobbiamo veramente preoccuparci o accanirci contro queste aziende? Quella che viene chiamata attività di profilazione, ossia la raccolta e l'analisi dei nostri dati su ciò che facciamo online, infatti, può spesso tornarci molto utile e ha diversi aspetti positivi, che spesso ignoriamo o non teniamo in considerazione.
In questa puntata, quindi, vedremo come la pubblicità online, e in generale la profilazione, siano vantaggiosi non solo per le aziende, ma anche per gli stessi utenti.
Innanzitutto, iniziamo con il dire brevemente che cos'è la profilazione e come fanno società come Google, Microsoft, Facebook, Amazon o Apple a conoscerci.
Oltre ai principali dati anagrafici che forniamo durante la fase di registrazione, queste aziende tracciano il nostro comportamento mentre usiamo le app e i servizi che forniscono agli utenti.
Nel caso di Google, Microsoft o Apple viene tracciato anche il comportamento mentre usiamo smartphone, PC o altri dispositivi.
Alcuni esempi possono essere quanto tempo usiamo certe app, che specifiche funzioni utilizziamo, i siti preferiti che consultiamo durante il giorno, il modo in cui interagiamo con le altre persone e veramente molto altro.
In altri casi le aziende raccolgono informazioni su di noi direttamente, attraverso i sondaggi.
Alcuni esempi sono Microsoft Rewards e Google Rewards, che in cambio delle nostre risposte ci forniscono premi o denaro da spendere sui propri store digitali.
Tutti questi dati poi vengono elaborati da intelligenze artificiali che tracciano il nostro profilo, una sorta di identikit di ciò che secondo l'azienda ci piace o non ci piace, chi siamo o quali sono le nostre necessità.
Per fare un esempio andando su myadcenter.google.com, ossia il servizio “Il Mio Centro per gli Annunci di Google” possiamo vedere il profilo che l'azienda ha tracciato su di noi, i nostri interessi, le ultime ricerche, con la possibilità di modificare, eliminare o verificare la veridicità di alcune informazioni.
Grazie a questi dati, come abbiamo detto, le aziende riescono a guadagnare attraverso la pubblicità personalizzata.
Questo sistema, che in prima battuta può sembrare ingiusto dal momento che gli utenti non guadagnano nulla dalla vendita dei propri dati, può essere però estremamente utile, sia per gli inserzionisti, ma anche per noi utenti finali.
Molto spesso, infatti, navigando online o utilizzando delle app sui nostri dispositivi, ci capita di imbatterci in pop-up e annunci pubblicitari che non hanno nulla a che fare con noi e risultano quindi particolarmente fastidiosi e quasi sempre fuori luogo.
Al contrario, quando i siti e le app integrano gli annunci pubblicitari forniti da Google o Facebook, l'esperienza utente è ben diversa, in generale più gradevole e meno invasiva.
E questo è un vantaggio anche per chi gestisce il sito o l'app, che può guadagnare meglio grazie alla presenza di una pubblicità mirata.
Conoscendo i nostri interessi, infatti, le società che gestiscono le inserzioni possono mostrare annunci mirati di prodotti molto più rilevanti e in linea con le nostre preferenze.
E molto spesso questo ci porta ad accogliere più volentieri le pubblicità e a interagirci.
A volte può anche capitare di trovare dei prodotti che stavamo cercando in quel momento o scoprirne di nuovi di cui avevamo bisogno, lasciando di fatto a Google, Facebook o Microsoft il compito di cercare l'offerta perfetta al posto nostro.
E come detto in precedenza, queste aziende mettono a disposizione nelle impostazioni dei propri account la possibilità di perfezionare ulteriormente ciò che vogliamo o non vogliamo ci venga proposto, cucendo perfettamente su misura la nostra esperienza sul web.
Tra l'altro in questo momento siamo nel pieno del periodo natalizio e in periodi come questo le inserzioni personalizzate online possono decisamente essere uno strumento utilissimo per ricevere le migliori offerte di Natale o idee proposte per i regali da fare ai familiari e amici.
Ma chiaramente le pubblicità personalizzate possono essere talvolta indispensabili o estremamente efficaci per gli inserzionisti, ossia le aziende che di fatto vendono, tra virgolette “occupano” lo spazio pubblicitario.
Moltissime attività, dalle piccole imprese alle grandi multinazionali, infatti possono sfruttare le inserzioni per farsi conoscere, proporre offerte e vendere determinati prodotti indirizzando gli annunci solo a certe categorie di persone, che possono essere veramente interessate all'articolo venduto e di fatto ottimizzando la campagna pubblicitaria, spendendo meno soldi ma guadagnando più utenti e potenziali clienti.
Spesso poi si dice, ed è vero, che se un servizio è gratuito solitamente il prodotto sei tu.
Quante volte usufruiamo di servizi che sono diventati ormai indispensabili per il lavoro, la scuola o per gestire la propria quotidianità? Pensiamo ad esempio a Google Drive, che mette a disposizione dello spazio gratuito dove conservare file e foto in cloud, i social network che vanno costantemente aggiornati e mantenuti attivi per permetterci di postare foto o interagire tra le persone, utilizzare le decine di app sugli smartphone per prendere note, gestire gli appunti e così via.
Tutti questi servizi, che di base sono gratuiti, ovviamente hanno costi enormi per le aziende.
E uno dei modi per sostenere questi costi è quindi quello di vendere, tra virgolette, “i propri utenti” o meglio, i dati che producono.
Insomma, questo è il prezzo da pagare per mantenere un servizio costante, gratuito ed efficiente.
Oltre alla pubblicità personalizzata e alla possibilità di usufruire di servizi gratuiti, c'è un altro aspetto positivo legato alla profilazione e alla raccolta dei dati degli utenti, ed è legato ai concetti di UI e UX, ossia l'interfaccia e l'esperienza utente.
In poche parole, il design dei siti, dei servizi o dei prodotti che utilizziamo ogni giorno.
Quando si realizza un'interfaccia grafica o un prodotto, infatti, è fondamentale tenere in considerazione quale sarà l'approccio degli utenti verso quel prodotto, come lo useranno, quali difficoltà incontreranno, e capire quindi come è possibile conciliare alle varie funzioni disponibili l'aspetto visivo, la semplicità e l'intuità d'uso.
In particolare per i siti o per le app, questo è un processo continuo di miglioramento e semplificazione per ampliare il proprio bacino di utenti e rendergli l'uso dei servizi quanto più gradevole possibile.
E proprio in questo contesto, la raccolta dei dati diventa un elemento fondamentale per capire come gli utenti interagiscono con l'interfaccia, quali pagine visitano e quali sono quelle più utilizzate, che problemi incontrano durante e così via.
Tutti questi dati, che in questo caso in realtà possono anche essere anonimi, sono indispensabili ai designer per progettare e migliorare il servizio o il prodotto.
Sempre legato all'aspetto dell'utilizzo dei servizi, infine, c'è un'altro aspetto in cui conoscere l'utente è fondamentale ed è legato alla personalizzazione dei contenuti.
Pensiamo ad esempio ad un social network o a un motore di ricerca come Google.
Se non sapessero chi siamo, a cosa siamo interessati, come interagiamo con ciò che vediamo online, tutti vedremmo gli stessi post e gli stessi risultati, di cui la maggior parte sono per noi irrilevanti o poco interessanti.
Al contrario, e social come TikTok ne sono un esempio magistrale, proporre contenuti veramente rilevanti per ognuno di noi è un beneficio sia per il social, che acquisisce maggiori interazioni e iscritti, sia per gli utenti, che si vedono proporre risultati più interessanti e inerenti ai propri interessi.
E questo, appunto, non vale solo per i social media, ma anche per i servizi come i motori di ricerca come Google e anche i servizi di streaming come Netflix, che investono milioni di dollari per potenziare sempre di più l'algoritmo e l'intelligenza artificiale che propone ai propri utenti il film o la serie perfetta per loro.
Arrivati a questo punto, però, è bene sapere anche i rischi legati alla condivisione dei propri dati online.
Se infatti è vero che le grandi aziende utilizzano le informazioni che hanno su di noi per vendere pubblicità personalizzate e migliorare i servizi e mantenerli gratuiti o proporci contenuti più interessanti, è anche vero che non sempre la privacy degli utenti viene rispettata in pieno.
E possono esserci dei casi in cui vengono raccolte informazioni indesiderate o che queste vengono utilizzate per scopi non previsti.
Può anche accadere che questi dati vengano in qualche modo rubati e rivenduti, come tra l'altro accade sempre più frequentemente negli ultimi anni, soprattutto per aziende meno preparate.
O infine possono verificarsi scandali come quello che ha coinvolto Facebook con Cambridge Analytica qualche anno fa, dove sono state raccolte a fini di propaganda politica le principali informazioni di milioni di utenti Facebook grazie al fatto che gli stessi utenti le hanno rese pubbliche, ma anche per il fatto che il social non ha previsto le dovute precauzioni per evitare il comportamento scorretto e totalmente illegale di Cambridge Analytica.
È dunque necessario, e non smetteremo mai di ripeterlo, essere sempre consapevoli di ciò che si fa online, di quali informazioni condividiamo, quali servizi usiamo.
Lasciare che le grandi aziende del web e i social media abbiano accesso ai nostri dati, alle nostre abitudini, come abbiamo visto sicuramente molti aspetti positivi, e talvolta è anche indispensabile per avere un servizio gratuito e di qualità.
Dal lato opposto, quindi, non dobbiamo circondarci di strumenti e comportamenti in nome della sicurezza e della privacy, senza sapere cosa stiamo facendo e a che cosa stiamo rinunciando.
L'obiettivo di questa puntata è quindi stato quello di capire come vengono usate le nostre informazioni nel bene e nel male e sapere che le aziende stesse mettono a disposizione strumenti per controllare e personalizzare al meglio ciò che vogliamo o non vogliamo condividere, grazie anche a una regolamentazione da parte dei governi che negli ultimi anni ha sempre più riportato il controllo dei dati nelle mani degli utenti.
Sarà poi compito di ognuno di noi, con consapevolezza, decidere se accettare un compromesso in cambio di diversi benefici e di un'esperienza più personalizzata, o se scegliere di preservare la privacy e la sicurezza.
E così si conclude questa puntata di INSiDER - Dentro la Tecnologia.
Io ringrazio come sempre la redazione e in special modo Matteo Gallo e Luca Martinelli che ogni sabato mattina ci permettono di pubblicare un nuovo episodio.
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Noi ci sentiamo la settimana prossima.