Chiunque ha provato frustrazione navigando in rete, guardando un video, leggendo una notizia, o utilizzando un'applicazione. La causa? Un eccesso sempre più invasivo di pubblicità, pop-up e banner che distolgono l'attenzione e degradano significativamente l'esperienza utente. Su mobile la situazione è ancora peggiore, con siti web talmente pieni di annunci che lo spazio dedicato ai contenuti è ridotto al minimo. Quali sono le soluzioni per conciliare la necessità degli editori di guadagnare con il diritto degli utenti a un'esperienza meno invasiva? In questa puntata approfondiamo cosa sono gli adblocker, come funzionano e quali strategie si stanno sviluppando per trovare un equilibrio tra esigenze commerciali e benessere dell'utente.
Nella sezione delle notizie parliamo delle falle di sicurezza informatica scoperte al museo del Louvre, dei progressi di SpaceX per il ritorno sulla Luna e infine della crescita massiccia degli investimenti in data center per l'intelligenza artificiale negli Stati Uniti.




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Salve a tutti, siete all'ascolto di INSiDER - Dentro la Tecnologia, un podcast di Digital People e io sono il vostro host, Davide Fasoli.
Oggi affronteremo il tema degli adblocker, spiegando cosa sono, come funzionano e il motivo del loro successo, analizzando anche le attuali proposte per integrare nelle pagine web pubblicità meno invasive.
Prima di passare alle notizie che più ci hanno colpito questa settimana, vi ricordo che potete seguirci su Instagram a @dentrolatecnologia, iscrivervi alla newsletter e ascoltare un nuovo episodio ogni sabato mattina, su Spotify, Apple Podcasts, YouTube Music oppure direttamente sul nostro sito.
Quello della sicurezza informatica è un tema ricorrente che non smetteremo mai di trattare.
Regolarmente, infatti, emergono casi, anche importanti, di mala gestione o sottovalutazione per quanto riguarda questo aspetto.
L'ultimo è quello legato al furto avvenuto il 19 ottobre al Museo del Louvre.
Secondo il quotidiano francese Libération, infatti, il sistema di videosorveglianza del museo era, sì, protetto da password, ma le password erano estremamente deboli come il nome del museo stesso o il nome dello sviluppatore, Thales, visibile sullo schermo di login, rendendo facile l'accesso ai malintenzionati.
Nella puntata "P@ssw0rd? Esistono sistemi migliori", tra l'altro, abbiamo parlato proprio del tema delle password e di come si possono sostituire con soluzioni molto più sicure.
Un altro problema emerso, invece, durante un audit risalente al 2015 è l'utilizzo del sistema operativo Windows Server 2003, sistema obsoleto e di cui Microsoft ha terminato il supporto decenni fa.
E se la sicurezza fisica in luoghi o musei come il Louvre è fondamentale, con sistemi di videosorveglianza, tech e sensori o presenza di personale qualificato, nel 2025 è impensabile sottovalutare anche l'aspetto della sicurezza informatica, da cui ormai, inevitabilmente, tutti gli altri sistemi dipendono.
SpaceX ha pubblicato un dettagliato aggiornamento sul programma Human Landing System, rivelando per la prima volta pubblicamente i progressi compiuti sulla versione di Starship, destinata a portare gli astronauti sulla Luna nell'ambito del programma Artemis.
L'azienda aerospaziale ha comunicato il raggiungimento di 49 traguardi fondamentali, dettagliati in un ampio documento costituito da rendering degli ambienti per l'equipaggio.
La versione lunare di Starship offrirà 600 metri cubi di spazio abitabili, equivalenti a due terzi della Stazione Spaziale Internazionale, e sarà dotata di due camere di equilibrio da 13 metri cubi ciascuna, con volume doppio rispetto al lander Apollo.
Tra i risultati conseguiti figurano test su repliche in scala reale della cabina con sistemi di supporto vitale, verifiche strutturali sui piedi di atterraggio, prove di resistenza all'impatto, sviluppo del software di navigazione per l'allunaggio e test sui motori Raptor ottimizzati per le operazioni lunari.
Restano tuttavia sfide significative, legate principalmente allo sviluppo della terza versione di Starship, i cui test dovrebbero iniziare nei primi mesi del prossimo anno.
L'attuale boom dei data center dedicati all'intelligenza artificiale sta approfondamente alterando l'economia mondiale e in special modo quella degli Stati Uniti.
Le principali aziende tecnologiche, tra cui Microsoft, Alphabet, Meta e Amazon, stanno investendo capitali senza precedenti con una stima di 370 miliardi di dollari per il 2025, una cifra così vasta da giustificare quasi tutta la crescita del PIL statunitense nella prima metà dell'anno.
Se da un lato questa spesa alimenta il mercato azionario, dall'altra crea enormi pressioni su settori cruciali.
L'enorme fabbisogno energetico di questi impianti sta mettendo a dura prova la rete elettrica statunitense, causando un aumento dei prezzi dell'energia.
E paradossalmente questa frenesia di investimenti in infrastrutture coincide con un mercato del lavoro in contrazione, poiché le stesse aziende che spendono miliardi in data center stanno effettuando licenziamenti di massa.
Un esempio lampante è Amazon, che pur essendo in perfetta salute finanziaria, ha annunciato il licenziamento di 14.000 persone con l'obiettivo di riorganizzarsi in maniera più snella in vista di un'era dominata dall'IA, dirottando di fatto il capitale dall'occupazione alla costruzione.
Chiunque di noi negli ultimi anni ha sicuramente più e più volte provato un senso di frustrazione navigando in rete, guardando un video, leggendo una notizia o utilizzando un gioco o un'applicazione.
La causa? Un eccesso, che ogni anno sembra sempre più invasivo, di pubblicità, pop-up o banner che compaiono dal nulla distraendo gli utenti o portandoli su siti e pagine non volute, dove nel peggiore dei casi possono addirittura incontrare malware, virus o truffe online.
Su mobile, poi, la situazione è addirittura peggiore, con siti web, compresi quotidiani online consultati ogni giorno da migliaia di persone, talmente pieni di pubblicità ed elementi di distrazione che lo spazio dedicato all'informazione vera e propria è ridotto al minimo.
È innegabile quindi che nell'ultimo periodo l'esperienza utente sul web sia stata fortemente degradata dalla presenza di queste pubblicità, o "ads" in inglese, che però sono anche una delle principali fonti di guadagno dei siti web, tanto che spesso possono essere rimosse o ridotte solo a fronte di un abbonamento.
La conseguenza? Una sempre più crescente adozione da parte degli utenti di adblocker o strumenti simili, progettati proprio per la rimozione e il blocco delle pubblicità sui siti web o sulle applicazioni.
E sarà proprio questo il tema della puntata di oggi.
Approfondiremo infatti cosa sono gli adblocker, le varie tipologie e come funzionano tecnicamente, ma dedicheremo dello spazio anche per capire quali soluzioni esistono o si possono attuare, per conciliare da una parte la necessità degli editori o degli sviluppatori di guadagnare dalle visite del sito o dell'app, ma dall'altra il rispetto degli utenti nel fornire loro
un'esperienza meno invasiva e più focalizzata sui contenuti.
Iniziamo dunque spiegando cosa sono gli adblocker, ossia strumenti software o servizi, che come suggerisce il nome, bloccano o eliminano gli annunci pubblicitari durante la navigazione web.
Si tratta da strumenti più semplici, in grado di bloccare solo pubblicità statiche, a software sempre più avanzati in grado di eliminare completamente le pubblicità, i pop-up, i sistemi di tracciamento come quelli di Google o Meta, ma anche annunci video a riproduzione automatica, come quelli presenti sulle piattaforme di streaming come YouTube o, recentemente,
Netflix, Prime Video o Disney+.
Molti riescono a bloccare anche i cosiddetti malvertising, ossia annunci malevoli che contengono malware, virus o codici, in grado di sottrarre dati sensibili agli utenti.
Altri ancora riescono addirittura a eliminare i banner di consenso dei cookie, per rimuovere del tutto le distrazioni di navigazione e rifiutando automaticamente qualsiasi tipo di tracciamento.
Tra l'altro abbiamo recentemente riportato la notizia per cui l'Unione Europea vuole far marcia indietro sui cookie banner, resi obbligatori nel 2009 per colpa proprio dell'intrusività di molti di essi.
Esistono dunque diverse tipologie di adblocker che lavorano su diversi livelli.
I più comuni sono le classiche estensioni web, come uBlock Origin, uno dei più famosi, che si possono facilmente installare e attivare.
Questi adblocker lavorano direttamente sul browser e sulle pagine web, dunque non funzionano su eventuali applicazioni o altri software installati.
Un'altra tipologia di adblocker, invece, blocca le pubblicità a livello di rete.
Uno di questi strumenti si chiama Pi-Hole, intercetta tutte le richieste, bloccando quelle che riconosce come pubblicità o software malevolo.
Da una parte, dunque, il blocco riguarda annunci di tutti i tipi e coinvolge non solo le applicazioni ma anche tutti i dispositivi connessi alla rete.
D'altra parte serve un minimo di dimestichezza per installare e configurare questo software.
La terza tipologia di adblocker, infine, è molto simile a quest'ultima, agendo comunque a livello di rete e si tratta delle VPN.
Alcuni servizi, come AdGuard VPN o Surfshark, oltre alle funzionalità di base a cui avevamo dedicato la puntata “Ma servono veramente le VPN?”, offrono anche i servizi di blocco della pubblicità e dei siti malevoli, estendendo la protezione all'intero dispositivo installando una semplice app.
Ma a livello tecnico, come funzionano gli adblocker? Il cuore di tutto sono le liste di filtraggio.
Gli adblocker, infatti, di base analizzano le richieste che il browser o il dispositivo fanno per caricare le pagine e bloccano quelle riconducibili a pubblicità o tracciamento.
E le liste di filtraggio servono proprio a questo.
Si tratta di un insieme di regole, filtri o elementi della pagina web che l'adblocker utilizza come confronto per capire cosa bloccare o rimuovere e cosa invece è da ritenere valido.
Esistono anche in questo caso diverse liste, come EasyList o EasyPrivacy, redatte in modo collaborativo da centinaia di persone, spesso volontari o semiprofessionisti.
Queste persone aggiornano costantemente queste liste, che vengono utilizzate da vari software di blocco degli annunci, in un'eterna rincorsa con gli sviluppatori, che trovano modi sempre nuovi per aggirare i blocchi.
Non essendoci un'azienda dietro, quindi, da una parte si può contare sul supporto gratuito e appassionato di molte persone, ma dall'altra, come per i software open source, esiste sempre il rischio che questi progetti vengano abbandonati per svariati motivi.
Tornando alle varie tipologie di adblocker, dunque, sia le estensioni che le VPN che strumenti come Pi-Hole, fanno uso di queste liste per bloccare gli annunci pubblicitari.
Le estensioni da browser, avendo il maggior controllo sulla pagina web, sono generalmente le più efficaci, in quanto riescono a rimuovere proprio gli elementi dalla pagina, pulendola totalmente o quasi da qualsiasi annuncio.
Di contro, però, la banda internet utilizzata rimane la stessa, dovendo comunque prima scaricare l'intera pagina web.
Le VPN e gli strumenti che bloccano gli annunci a livello di rete, invece, operano intercettandole chiamate verso i server esterni, bloccandole in principio.
Questo permette, come dicevamo, di avere un filtro su più dispositivi, ma anche di risparmiare traffico di rete.
Dall'altro lato, però, non potendo agire sugli elementi del browser, gli spazi dedicati agli annunci rimangono - seppur vuoti - creando comunque del fastidio o delle distrazioni.
Per questo una combinazione dei due strumenti può essere spesso la scelta ottimale per avere una protezione totale dagli annunci pubblicitari.
Ma serve davvero questa protezione? Siamo tutti d'accordo che le pubblicità sono nella stragrande maggioranza dei casi fastidiose, invasive e spesso anche imprevedibili.
Dobbiamo però pensare anche che mantenere un'app o un sito web a dei costi, anche molto elevati, è uno dei modi per poter rientrare in questi costi e appunto sfruttare gli annunci pubblicitari, trasformando porzioni della pagina in vere e proprie vetrine.
Gli strumenti di blocco, poi, come abbiamo detto, riescono a intercettare tutto il traffico della rete o di una pagina web, rappresentando potenzialmente un pericolo per la privacy degli utenti.
Sia chiaro, le estensioni e i software più famosi sono stati ampiamente testati e controllati, ma la potenzialità c'è sempre.
Per questo motivo Google ha da qualche anno ingaggiato una vera e propria battaglia contro le estensioni adblocker, attraverso modifiche al suo browser Chrome e alla piattaforma di estensioni Manifest V3.
Gli obiettivi di Google sono di migliorare la sicurezza e la privacy, limitando il potere che le estensioni hanno di analizzare e modificare le richieste di rete.
In questo modo, di fatto, le estensioni come uBlock Origin o AdBlock diventano inutili, costringendo gli utenti a cambiare browser o ad affidarsi ad altri sistemi non altrettanto efficaci.
C'è poi da dire che in molti pensano che questa sia una mossa di Google studiata non tanto per proteggere la privacy degli utenti - come dichiarato - ma di proteggere il mercato degli annunci di cui proprio Google ha un monopolio sul web, rappresentando una delle principali fonti di guadagno per l'azienda.
Se ciò corrisponda al vero, non ci è dato saperlo.
Sta di fatto che il successo degli adblocker non è tanto dovuto alla presenza di pubblicità online, quanto più alla sua esagerazione.
Tra pop-up, elementi che occupano grandissime porzioni di pagina, link che si aprono senza preavviso, l'esperienza online è spesso frustrante, costringendo gli utenti a correre ai ripari.
Ma possono esserci delle soluzioni.
Una di queste è lo standard "Acceptable Ads", o AA.
L'obiettivo di questo standard è infatti quello di trovare un equilibrio... un compromesso, sostenibile sia per gli utenti che gli sviluppatori, garantendo la presenza di annunci pubblicitari senza compromettere la User Experience.
Come? Attraverso delle regole rigorose che lo sviluppatore del sito deve seguire.
Una di queste è la "distinzione", ossia gli annunci devono essere sempre riconoscibili e contrassegnati come pubblicità.
Gli altri riguardano invece i limiti di dimensione, che non devono occupare oltre una certa percentuale della pagina web.
Limiti che cambiano anche in base al dispositivo, diventando molto più stringenti per i siti web consultati da smartphone, dove le dimensioni degli schermi sono chiaramente più contenute.
Un'altra soluzione invece è quella del Native Advertising, o pubblicità nativa.
Anche questa la possiamo trovare molto spesso in pagina web o, ancora di più, nei video online.
Questi tipi di annunci, infatti, prevedono l'integrazione della pubblicità all'interno del contenuto, come elemento editoriale.
Può essere ad esempio un paragrafo o un intero articolo che sponsorizza un prodotto o un servizio o una porzione di video dedicata all'annuncio pubblicitario.
E se integrata senza interrompere il flusso di navigazione o di visione, ad esempio offrendo comunque informazioni rilevanti o creando comunque un contenuto ad hoc interessante attorno al prodotto, la tendenza degli utenti è quella di continuare la lettura o la visione del video, garantendo un'esperienza decisamente migliore.
In un mondo in cui i siti web vengono consultati sempre meno in favore delle risposte date dall'IA generativa, tra l'altro, è facile pensare che sia proprio questo il futuro degli annunci online, come le IA che nel flusso della risposta integrano anche porzioni dedicate proprio alla sponsorizzazione di prodotto, chiaramente legate alla domanda dell'utente.
E seppur attualmente le principali aziende che si occupano di IA negano la presenza di annunci, prima o poi questo modello di business si farà sicuramente strada, magari solo per gli utenti che utilizzano in modo gratuito il servizio.
Per concludere, dunque, gli adblocker sono strumenti utilissimi, ma nati in primis per contrastare annunci o codici malevoli e che hanno trovato negli anni un apprezzamento sempre maggiore come soluzione alla frustrazione nata da una pubblicità sempre più invasiva che ha degradato totalmente l'esperienza utente.
Gli annunci servono e possono essere spesso anche molto utili per scoprire nuovi prodotti o servizi che potremmo trovare interessanti.
Tuttavia è necessario e fondamentale per il bene di sviluppatori o editori ed utenti che le pubblicità vengano integrate nelle pagine web seguendo rigide regole che ne garantiscano la leggibilità e non compromettano l'esperienza.
Solo così, infatti, tutti potranno veramente guadagnarci qualcosa.
E così si conclude questa puntata di INSiDER - Dentro la Tecnologia. Io ringrazio come sempre la redazione e in special modo Matteo Gallo e Luca Martinelli che ogni sabato mattina ci permettono di pubblicare un nuovo episodio. Per qualsiasi tipo di domanda o suggerimento scriveteci a redazione@dentrolatecnologia.it, seguiteci su Instagram a @dentrolatecnologia
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Noi ci sentiamo la settimana prossima.