
In questa quinta e ultima puntata estiva Luca Martinelli, autore del podcast, parlerà di data center sottomarini e di come questa tecnologia potrebbe rappresentare la nuova generazione dei data center del futuro.
La programmazione regolare riprenderà a Settembre.
Salve a tutti, siete all'ascolto di INSiDER - Dentro la Tecnologia, un podcast di Digital People e io sono il vostro host, Davide Fasoli.
Nella quinta e ultima puntata dell'edizione estiva, Luca Martinelli, autore del podcast, parlerà di datacenter sottomarini e di come questa tecnologia potrebbe rappresentare la nuova generazione dei datacenter del futuro.
Non molto tempo fa, un'analisi dell'ambientalista Michael Thomas ha messo in luce quanto consumano, dal punto di vista energetico, le big tech come Microsoft o Google.
Stiamo parlando infatti di circa 24 TWh di elettricità ciascuna nel 2023.
Pari al consumo dell'intero stato dell'Azerbaigian.
Inutile dire che l'avvento dell'intelligenza artificiale generativa, dal suo addestramento al suo utilizzo vero e proprio, abbia aumentato ulteriormente questi consumi, rendendo la situazione per certi versi preoccupante.
Nonostante queste aziende siano infatti attenti all'ambiente e attuino da anni politiche per ridurre i consumi e gli impatti ambientali, è ormai necessario che le big tech investano per ottimizzare le proprie infrastrutture e limitare al minimo i consumi di quell'energia che, ogni anno, diventa sempre più preziosa.
Ma come si può fare? Un esempio viene proprio da Microsoft, che recentemente ha chiuso il suo Project Natick.
Il progetto è nato nel 2015, con l'installazione di un prototipo di datacenter sottomarino, posizionato a 10 metri sotto il livello dell'acqua vicino alle coste californiane.
Il progetto è poi entrato nella seconda fase nel 2018, con l'installazione di un ulteriore datacenter nel mare del nord, più precisamente al largo delle Isole Orcadi, in Scozia.
Progetto che, a detta di Microsoft, è stato un grande successo per diversi motivi.
I costi maggiori derivanti dai datacenter tradizionali solitamente riguardano infatti il raffreddamento e la manutenzione, che costa a Microsoft circa 15 miliardi di dollari l'anno.
Per il raffreddamento, i datacenter sottomarini sfruttano in parte la bassa temperatura dell'acqua in cui sono immersi e, dall'altra, l'energia prodotta dalle correnti marine, riducendo così a zero o quasi l'impatto legato agli impianti di raffreddamento.
I datacenter su terraferma, inoltre, soffrono diverse problematiche legate ad esempio alla corrosione da ossigeno o alle variazioni di parametri ambientali, come temperatura o umidità.
E questo implica che i datacenter siano costantemente monitorati e operino in ambienti controllati, ma che comunque non sono infallibili.
Anche in questo caso, sott'acqua il problema non si pone, in quanto viene abbattuto il contatto con l'ossigeno e la conseguente corrosione, e i parametri ambientali sono molto meno soggetti a variazioni.
Il risultato? Nei due anni di sperimentazione, Microsoft ha notato una riduzione di 8 volte nel numero di guasti nel suo Project Natick rispetto agli altri datacenter, e, ovviamente, una gestione molto più efficiente dal punto di vista energetico, con meno consumi e una maggiore affidabilità.
Altri benefici riguardano invece la sicurezza, in quanto diventa pressoché impossibile accedere fisicamente ai datacenter, e una maggiore velocità di risposta agli utenti, dovuta alla minore distanza che i dati devono percorrere.
Dal punto di vista economico, inoltre, un datacenter di questo tipo si può realizzare in circa 90 giorni, contro i due anni per i datacenter tradizionali, e, ovviamente, ad un minor costo.
Insomma, questa tecnologia sembra un enorme successo che potenzialmente potrebbe essere un punto di svolta per le big tech, che si potrebbero dotare di una rete più fitta di datacenter, dai minori costi di gestione, dalla maggiore affidabilità, sicurezza, e con la possibilità di avvicinarsi ancora di più agli utenti finali.
Ma stanno veramente così le cose? Dopo il forte entusiasmo di Microsoft, che si diceva pronta ad estendere il progetto con più datacenter, infatti, del Project Natick non si è più saputo nulla fino a giugno, quando l'azienda ha rilasciato un'intervista in cui ha negato l'intenzione di costruire ulteriori server sottomarini e, di fatto, chiudere il progetto, se non come piattaforma di ricerca.
Le motivazioni, purtroppo, sono sconosciute, ma evidentemente i costi di manutenzione, nonostante la maggior rarità dei guasti, superavano di gran lunga i benefici della tecnologia.
L'idea, però, è veramente rivoluzionaria e potrebbe seriamente contribuire a una nuova concezione di datacenter del futuro, più efficienti, meno costosi e più ecosostenibili.
Tanto che un progetto identico lo sta ora portando avanti la Cina, tramite una collaborazione tra il governo e l'azienda Highlander.
Specializzata appunto in datacenter.
Dopo una serie di studi e di test iniziati nel 2021, infatti, l'azienda ha realizzato il primo dei 100 datacenter che verranno posizionati a largo della costa, a 35 metri di profondità.
L'intero progetto occuperà un'area di 60.000 metri quadri, che, risparmiati sulla terraferma, potrebbero diventare un'area verde per i cittadini.
Per quanto riguarda il consumo energetico, invece, l'azienda ha stimato un risparmio di 122 milioni di kWh di elettricità all'anno.
Rimane, tuttavia, da capire che impatto hanno o avranno questi datacenter nell'ambiente marino e come ne influenzeranno l'ecosistema.
Ma, se la sperimentazione dimostrerà che questa tecnologia è valida sotto ogni punto di vista, si spera che anche le big tech occidentali, come ha già tentato di fare Microsoft, adottino questa soluzione per dare vita alla nuova generazione dei datacenter del futuro.
E così si conclude questa puntata di INSiDER - Dentro la Tecnologia.
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