
Il Web ha vissuto una rapida evoluzione che l'ha portato a quello che conosciamo oggi, passando dal Web 1.0 al Web 2.0. La rete Internet, sempre più complessa e sempre più connessa, permette di fare cose che fino a pochi anni fa erano destinate solamente ai libri e ai film di fantascienza. Dunque sono molte le applicazioni che ogni giorno nascono e si pongono l'obiettivo di tracciare la strada maestra che percorrerà l'evoluzione del Web, dal metaverso, alla blockchain, alla rete Tor, al web semantico. Ma in futuro in cosa si trasformerà il World Wide Web? In questa puntata ci concentriamo su due possibili evoluzioni, chiamate Web3 e Web 3.0, con l’obiettivo di analizzarle, scoprirne le differenze e soprattutto capire se potranno essere veramente il futuro della navigazione online.
Nella sezione delle notizie parliamo della Cassazione, che si è espressa sul software di IA dell’INPS e sulla sua legittimità, del primo allunaggio del Giappone e infine delle preoccupazioni per il Cyber Resilience Act europeo in tema di Open Source.




Brani
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Salve a tutti, siete all'ascolto di INSiDER - Dentro la Tecnologia, un podcast di Digital People e io sono il vostro host, Davide Fasoli.
Oggi proveremo a capire quale sarà il futuro del Web e in particolare che cosa sono il Web 3.0 e il Web3.
Prima di passare alle notizie che più ci hanno colpito questa settimana, vi ricordo che potete seguirci su Instagram a @dentrolatecnologia, iscrivervi alla newsletter e ascoltare un nuovo episodio ogni sabato mattina su Spotify, Apple Podcast, Google Podcast oppure direttamente sul nostro sito.
La Corte di Cassazione ha annullato l'ingiunzione della sanzione amministrativa del Garante Privacy all'INPS per il trattamento dei dati personali riguardanti il software di intelligenza artificiale denominato Data Mining Savio.
La Corte ha affermato la piena legittimità dell'utilizzo del software da parte dell'INPS, ribadendo la nozione di necessità del trattamento dei dati personali e la legalità dell'istituzionalizzazione di processi digitali nella pubblica amministrazione.
La decisione della Corte offre un punto di partenza per il dibattito sull'elaborazione di dati nel contesto sanitario, dove anche i dati sensibili e i dati personali sono ampiamente utilizzati per scopi diagnostici, terapeutici e amministrativi.
La sentenza solleva nuove domande sul ruolo dell'utilizzo dei dati personali in contesti clinici e suggerisce che la questione del trattamento dei dati sanitari deve essere correlata al trattamento clinico e alla nozione di necessità dell'articolo 9 del GDPR.
Nel tardo pomeriggio di martedì 25 aprile, la società Ispace ha fallito l'atterraggio sulla superficie lunare del Lander Hakuto-R, che sarebbe stato il primo mezzo robotico inviato sulla Luna da una società giapponese.
Considerando i dieci anni di sviluppo e il primo finanziamento di 20 milioni di dollari nel 2013, questo fallimento è stato un duro colpo per l'azienda.
Tuttavia, in una nota di aggiornamento ha comunque dichiarato di essere in parte soddisfatta del risultato, grazie alla raccolta di una buona mole di dati che verranno utilizzati per migliorare la tecnologia e tentare un secondo allunaggio in futuro.
Ad oggi gli unici paesi che sono riusciti a inviare un Lander sulla Luna sono Stati Uniti, Cina e Russia, ma sappiamo anche che, prima di arrivare a un traguardo simile, sono stati compiuti innumerevoli test e in gran parte falliti.
Ma ognuno di essi è il risultato fondamentale per migliorare i sistemi che non hanno funzionato e arrivare così all'obiettivo prestabilito.
Negli ultimi giorni sta facendo molto discutere il testo di una nuova norma presentata dalla Commissione Europea, il Cyber Resilience Act, con l'obiettivo di rendere più sicuri tutti quei dispositivi che si connettono a Internet.
In pratica tutti questi dispositivi, come smartphone, sensori, elettrodomestici smart, con questa norma dovrebbero essere dotati di una certificazione che garantisce la presenza dei principali requisiti di sicurezza.
Questa proposta però, come dicevamo, ha sollevato parecchie preoccupazioni nella comunità open source, ossia quei software in cui il codice sorgente è accessibile a tutti e chiunque può portare un proprio contributo.
Gli stessi sistemi operativi, come Android o Linux, per fare un esempio, sono open source e si calcola che tra il 70 e il 90% dei progetti, commerciali e non, sia costituito proprio da componenti rilasciati con licenza libera.
E il testo presentato dalla Commissione, per com'è scritto al momento, non fa differenza tra prodotti commerciali e prodotti open source.
In pratica, se un codice con licenza open utilizzato in un prodotto commerciale risultasse non sicuro, la responsabilità ricadrebbe su chi ha rilasciato quel componente gratuitamente, con multe che possono raggiungere anche i 15 milioni di euro.
Fortunatamente, le preoccupazioni sollevate dalle principali comunità open source, come Python Foundation, stanno avendo successo e la Commissione Europea sta lavorando per rendere la norma più chiara verso queste tipologie di software.
La speranza, quindi, è che il testo, che verrà presentato il prossimo 25 maggio, venga sistemato anche in collaborazione con la comunità open e che venga trovato anche un compromesso tra la sicurezza informatica richiesta e la tutela degli sviluppatori indipendenti.
Se dovessimo dare una data di nascita per il World Wide Web, quella sarebbe sicuramente il 6 agosto del 1991, quando l'informatico Tim Berners-Lee pubblicò il primo sito Web del mondo.
E da allora il Web, come abbiamo più volte detto, ha vissuto una rapida evoluzione che l'ha portato a quello che conosciamo oggi, passando dal Web 1.0 al Web 2.0.
Ma in futuro come si trasformerà il World Wide Web? Ad oggi, infatti, sono moltissime le strade percorribili, e la rete internet, sempre più complessa e sempre più connessa, permette di fare cose che fino a pochi anni fa erano destinate solamente ai libri e ai film di fantascienza.
E dunque sono anche molte le applicazioni che ogni giorno nascono e si pongono l'obiettivo di tracciare la strada maestra che percorrerà l'evoluzione del Web, dal metaverso alla blockchain, alla rete Tor, al Web semantico.
Tutti i temi che abbiamo singolarmente trattato ampiamente.
In questa puntata, però, ci concentreremo su due di queste strade dal nome molto simile tra loro, ma che adottano approcci notevolmente diversi.
Queste nuove evoluzioni del Web sono chiamate Web3 e Web 3.0, e durante il corso di questa puntata andremo appunto ad analizzarle, scoprirne le differenze e soprattutto capire se potranno essere veramente il futuro della navigazione online.
Prima di cominciare, però, facciamo un piccolo passo indietro a quell'agosto 1991, dove è nato il Web, o meglio il Web 1.0.
Questa prima versione era caratterizzata da pagine statiche, ossia con contenuti immutabili, dove gli utenti potevano interagire solamente navigando e spostandosi da una pagina all'altra attraverso i collegamenti ipertestuali.
La sua funzione, quindi, era solo ed esclusivamente consultiva, e poteva essere usata per condividere informazioni, notizie, o creare una vetrina per la propria attività.
Chi conosceva il linguaggio HTML e CSS poteva spingersi a creare anche un proprio blog, che doveva essere aggiornato manualmente aggiungendo link e pagine Web.
Con una potenza di calcolo sempre maggiore da parte dei server, l'introduzione di nuovi linguaggi di programmazione come JavaScript o PHP e sempre più persone connesse a Internet si è introdotto poi quasi subito il Web 2.0, che è quello che conosciamo e utilizziamo ancora oggi regolarmente.
Questo ha permesso che gli utenti non fossero solo dei semplici spettatori in Internet, ma fossero una parte attiva, che potessero aggiungere contenuti, parlare tra loro, avere delle proprie pagine personali e così via.
Dopo il Web 1.0 e il Web 2.0, quindi, la versione 3.0 sembrerebbe il naturale proseguimento di questa tecnologia.
Ma di cosa si tratta? La risposta viene dallo stesso Tim Berners-Lee, l'inventore del World Wide Web, che già nel 1998 con la fondazione del consorzio W3C, che definisce gli standard e i protocolli legati al Web, aveva tracciato il solco e le basi per questa nuova versione, chiamata Web Semantico, ossia un Web che non sia solo “machine representable” ma sia anche “machine understandable” .
Spieghiamolo meglio: ad oggi la stragrande maggioranza delle pagine online sono fatte di contenuti statici come blog, vetrine o enciclopedie, seguendo quindi ancora la filosofia del Web 1.0.
Questi contenuti sono formati da pagine, file, in formato HTML, che hanno una struttura ben precisa che permette di creare paragrafi, titoli, testi in grassetto, tabelle, collegamenti per testuali tra le pagine dello stesso sito, di siti diversi e così via.
Il computer, o meglio, il browser, riesce a convertire questa struttura nelle pagine Web che poi vediamo, formattando ogni elemento così come è stato definito e rendendolo visivamente leggibile per gli utenti, e da qui la definizione di machine representable.
La macchina, in questo caso il browser, riesce infatti a rappresentare la pagina Web, ma non riesce in alcun modo a comprenderne il significato del suo contenuto.
Le pagine Web machine understandable, invece, superano questo limite andando ad aggiungere elementi ulteriori nella struttura della pagina, che ne definiscano il significato e il contesto attraverso sequenze di soggetto, predicato e oggetto.
Questo concetto l'avevamo già trattato nella puntata, “Il futuro del web tra Open Source e Open Data” riportando l'esempio della nascita di Albert Einstein.
In questo esempio, la frase: “Albert Einstein è nato nel 1879” nel Web semantico sarebbe tradotto appunto in una sequenza di soggetto, predicato e oggetto, in cui “Albert Einstein” è associato ad una rappresentazione digitale di Einstein, “è nato” a un altro elemento che definisce l'atto del nascere, e il dato 1879.
Il soggetto Albert Einstein in questo modo può essere ricollegato anche ad altre sequenze di predicati e oggetti, non solo della stessa pagina, ma in tutte le pagine Web di Internet, che richiamando lo stesso riferimento al noto scienziato, riescono in questo modo a ricostruire l'intera vita e l'intera informazione che il Web fornisce su Einstein.
E questo attraverso dei linguaggi simili all'HTML, definiti dal consorzio W3C chiamati RDF, acronimo che sta per Resource Description Framework, e OWL, che sta per Web Ontology Language, linguaggi che, proprio come l'HTML, i computer riescono a comprendere e permettono loro di capire il significato delle frasi e il contesto in cui si trovano, da qui la definizione di Machine Understandable.
In questo modo, se vogliamo cercare la data di nascita di Einstein, ecco che il motore di ricerca può fornire un'informazione esatta e precisa, proprio perché il computer è assolutamente certo del significato della frase Albert Einstein è nato nel 1879.
Tuttavia, siamo ancora ben lontani da questo ideale del Web pensato da Tim Berners-Lee.
Tradurre in Web 3.0 le pagine del Web sarebbe infatti compito degli sviluppatori, che raramente adottano questo linguaggio sia per motivi di tempo che di difficoltà nella gestione e creazione della pagina.
Va poi aggiunto che molto spesso i contenuti online non sono scritti direttamente in HTML da programmatori, ma sono pagine gestite da siti chiamati CMS o Content Management System, che permettono agli utenti di scrivere articoli e contenuti in modo visuale, proprio come se stessero scrivendo su un documento di testo.
Le stesse enciclopedie online, come Wikipedia, sono gestite in questo modo e gli utenti difficilmente riuscirebbero ad aggiungere le informazioni semantiche di cui ha bisogno il Web 3.0.
Un esempio di Web 3.0 viene però da un'altra enciclopedia, chiamata Wikidata e creata dalla stessa Wikimedia Foundation, che ha creato Wikipedia.
Qui l'intera informazione è rappresentata proprio come un'enorme tabella, fatta di predicati e oggetti, con i relativi riferimenti che ne danno la definizione.
E paragonando Wikipedia a Wikidata, la grande differenza che salta subito all'occhio è proprio la modalità di fruizione dell'informazione.
Da una parte molto più leggibile per l'uomo, dall'altra comprensibile dalla macchina, ma meno vicino al linguaggio naturale.
In questo campo poi entra in gioco l'intelligenza artificiale, che grazie a una struttura di questo tipo, sarebbe enormemente facilitata nel comprendere i testi online e sarebbe molto più precisa e meno incline ad errori.
Tuttavia, e lo stiamo vedendo proprio in questi mesi, le intelligenze artificiali hanno fatto dei progressi enormi nella capacità di comprendere il linguaggio naturale, tanto che potrebbero rendere il passaggio al Web 3.0 per certi aspetti superato.
Il parallelismo più adatto in questo caso è forse quello delle auto a guida autonoma.
Se le strade e i segnali stradali fossero sviluppati per essere comprensibili sia dalle auto che dagli esseri umani, i sistemi a guida autonoma sarebbero perfettamente sicuri e funzionanti, e probabilmente l'intelligenza artificiale nemmeno servirebbe.
Tuttavia, andrebbe ripensata e realizzata da zero l'intera infrastruttura stradale, con costi e lavori insostenibili per gli Stati.
L'intelligenza artificiale invece riesce a risolvere questi problemi adattandosi e cercando di capire il significato della segnaletica stradale con tutti i rischi che ne conseguono.
Allo stesso modo, le nuove intelligenze artificiali riescono a comprendere le frasi che trovano online, evitando di ricostruire l'intera infrastruttura delle pagine Web.
A inizio puntata abbiamo però parlato di un'altra strada che il Web potrebbe percorrere nel prossimo futuro.
Ed è il Web3, da non confondersi con il Web 3.0 di cui abbiamo parlato finora.
Nonostante il nome molto simile, infatti, questa concezione è nata molto più di recente e il suo sviluppo è portato avanti da Ethereum, la blockchain di cui abbiamo parlato più volte nel corso delle puntate di questo podcast.
Più che un'evoluzione del Web, infatti, il Web3 è un nuovo concetto di come funziona lo stesso Internet, che dovrebbe passare dall'essere un sistema fortemente centralizzato a uno completamente decentralizzato.
Cosa significa? Come abbiamo più volte spiegato, ad oggi i servizi Web si trovano quasi tutti in enormi centri con migliaia di server che gestiscono le richieste degli utenti.
Centri di proprietà di Google, Microsoft, Amazon e delle principali multinazionali del Web e del cloud, che vanno di fatto a monopolizzare Internet e l'accesso all'informazione.
Con la decentralizzazione, invece, chiunque può contribuire e fornire la potenza di calcolo e lo spazio di un suo computer per far funzionare le applicazioni chiamate dApp sviluppate per il Web3.
In sostanza, ogni nodo della rete è sia client che server e ognuno detiene parte delle informazioni di Internet.
Questo rende la rete e le dApp molto più sicure e resilienti ad attacchi informatici e a censure, e molto più democratiche, in quanto non esisterebbe più il monopolio di pochi.
E alla base del nuovo Internet ovviamente ci sarebbe la blockchain, che garantisce affidabilità, anonimato e assoluta sicurezza delle informazioni.
Per accedere alle dApp non sarebbe più necessario un login con username e password o con metodi come “Accedi con Google” ma basterebbe usare il proprio portafoglio Ethereum, con cui si riuscirebbero a sbloccare i contenuti a cui solo noi avremmo accesso.
Ogni operazione, però va specificato, richiederebbe la spesa di una parte del proprio credito sul portafoglio digitale, costo che serve proprio a sostenere l'intera struttura decentralizzata.
Per fare qualche esempio, le transazioni non sarebbero controllate da banche o enti centralizzati, e gli artisti potrebbero vendere e guadagnare dalle proprie opere o canzoni in modo diretto, senza passare da enti come SIAE e case discografiche.
Con gli NFT inoltre si può stabilire la proprietà di oggetti digitali, come opere d'arte, ma anche i post sui social o monete e oggetti in un gioco online.
Tutte cose di cui abbiamo già ampiamente parlato.
Alcuni esempi di applicazioni decentralizzate già esistono, come Audius, che è l'alternativa decentralizzata a Spotify; Brave, un browser che blocca annunci pubblicitari e permette di raccogliere criptovalute; Minds, che si propone come un'alternativa ai principali social network; DTube come alternativa a YouTube.
Nell'ambito dell'archiviazione poi esiste il progetto degli IPFS, acronimo che sta per Interplanetary File System, un protocollo che permette di archiviare file su una rete decentralizzata e conservarli idealmente per sempre.
Più nodi partecipano all'IPFS, più la rete diventa stabile, sicura e veloce.
Anche nel Web3, però, esistono delle problematiche.
Innanzitutto, il processo per passare da un sistema centralizzato a uno decentralizzato è ancora molto lungo, ed difficilmente aziende come Google, Microsoft, Facebook o Amazon lasceranno il loro monopolio sul Web.
Gli stessi utenti dovrebbero cominciare ad adottare questo nuovo approccio e una nuova mentalità, ma per molti il costo della transizione per far funzionare l'intero sistema delle dApp è ancora molto elevato.
Per non parlare poi del problema ambientale della blockchain, che però Ethereum sta già cercando di risolvere cambiando completamente la modalità con cui si minano le criptovalute.
Le interfacce utente sono poi ancora molto acerbe e poco intuitive, rendendo di fatto accessibile l'utilizzo delle dApp solo a pochi esperti.
Affinché si arrivi al traguardo della decentralizzazione, servirebbe quindi che gli utenti iniziassero a comprendere meglio il funzionamento del Web, di Internet e delle potenzialità di un sistema decentralizzato, diventando utenti consapevoli del mondo online.
Traguardo che purtroppo è ancora ben lontano dall'essere raggiunto.
Quale sarà quindi il futuro del Web? Web3? Web3.0? Probabilmente in futuro queste tecnologie potranno, e anzi, sicuramente coesisteranno tra loro, assieme al Web 2.0 e al Web 1.0 che difficilmente verranno rimpiazzati.
E al fianco, magari, nasceranno ulteriori nuove tecnologie che saremo sempre pronti a raccontarvi, e che renderanno il Web un posto sempre più, tra virgolette, “variegato” e accessibile a tutti.
E così si conclude questa puntata di INSiDER - Dentro la Tecnologia.
Io ringrazio come sempre la redazione e in special modo Matteo Gallo e Luca Martinelli che ogni sabato mattina ci permettono di pubblicare un nuovo episodio.
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