
Quando si parla di intelligenza artificiale quasi sempre la si associa ad un algoritmo quasi magico capace di risolvere problemi che fino a qualche anno fa sembravano troppo complessi da gestire. Anche nel corso delle nostre puntate abbiamo analizzato e approfondito l’argomento sotto diversi punti di vista come soluzione a svariati problemi. Ma, alla fine, questa intelligenza artificiale, è davvero così intelligente? E, soprattutto, è veramente un algoritmo su cui l’Uomo non ha il controllo e che fatica a conoscere? Nel corso di questa puntata cerchiamo proprio di dare delle risposte definitive a queste domande.
Nella sezione delle notizie parliamo del nuovo test del programma spaziale di Boeing, dello sviluppo di un enzima che decompone la plastica in pochi giorni e di organi su un chip per testare le terapie del futuro.




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Salve a tutti, siete all'ascolto di INSiDER - Dentro la Tecnologia, un podcast di Digital People e io sono il vostro host, Davide Fasoli.
Oggi cercheremo di capire meglio, attraverso degli esempi, come funzionano le varie intelligenze artificiali e cosa manca per poter creare dei veri e propri cervelli digitali.
Prima di passare alle notizie che più ci hanno colpito questa settimana, vi ricordo che potete seguirci su Instagram a @dentrolatecnologia, iscrivervi alla newsletter e ascoltare un nuovo episodio ogni sabato mattina su Spotify, Apple Podcast, Google Podcast oppure direttamente sul nostro sito.
Dopo i problemi riscontrati nel lancio della navicella spaziale Starliner poco più di due anni fa, questa settimana Boeing ha deciso di fissare la data del secondo tentativo al prossimo 19 maggio.
Il progetto dell'azienda statunitense fa parte del Commercial Crew Program, ovvero il programma di volo spaziale con equipaggio finanziato dalla NASA, che ha come obiettivo quello di rendere indipendenti i lanci verso la stazione spaziale americana dalle navicelle russe Sojuz.
Attualmente l'unica compagnia spaziale operativa che rientra nel progetto della NASA è SpaceX, con le capsule Crew Dragon.
Tuttavia, dopo la missione OFT-2 con il lancio di Starliner previsto per il 19 maggio, Boeing avrà la possibilità di avvicinarsi ulteriormente verso la conclusione della fase sperimentale del programma di lancio.
A differenza del primo tentativo, questa volta la capsule Starliner, proverà ad attraccare alla stazione spaziale internazionale, dove dovrebbe rimanere per un tempo massimo di dieci giorni, per poi rientrare sulla terra una volta completata l'analisi dei dati.
Un team di ricerca dell'Università di Austin in Texas è riuscito a creare un'enzima chiamato FAST-PETase, capace di decomporre la plastica in pochi giorni, rendendola riutilizzabile senza l'utilizzo di ulteriori fonti energetiche.
L'obiettivo della ricerca era quello di trovare un modo più veloce per decomporre il materiale comunemente conosciuto come PET, il quale viene utilizzato principalmente per costruire contenitori per bevande, e il suo impatto sul pianeta è drammatico.
Basti pensare al fatto che una bottiglia di plastica impiega dai 100 ai 1000 anni per decomporsi completamente.
Infatti, questi rifiuti rappresentano circa il 12% a livello globale.
Questo nuovo enzima sviluppato accelera moltissimo il processo di depolimerizzazione, scomponendo il PET nei suoi monomeri base, che poi tramite polimerizzazione vengono utilizzati in un secondo momento per ricreare molecole dall'elevato peso molecolare, i polimeri.
L'enzima messo a punto è stato generato da delle mutazioni delle proteine tramite algoritmi basati sul machine learning.
Anche se i primi risultati sono incoraggianti, il team di ricerca dovrà in primo luogo trovare il modo di rendere il processo funzionale per tutti i tipi di plastica, e in secondo luogo rendere il processo di depolimerizzazione tramite l'enzima FAST-PETase conveniente su scala industriale.
Un team di ricercatori della Columbia Engineering e dell'Irving Medical Center della Columbia University hanno sviluppato un chip multi-organo per il test dei farmaci.
In particolare il chip è composto da cellule di tessuti umani, di cuore, fegato, ossa, pelle e da cellule immunitarie, tra loro collegati.
Il risultato è una riproduzione miniaturizzata di un modello del corpo umano, in grado di simulare le reazioni dell'intero organismo e non di un solo organo in particolare, a diversi farmaci e condizioni.
Inoltre, ogni chip può essere realizzato partendo dalle cellule staminali del paziente, creando un vero e proprio clone miniaturizzato del corpo del paziente.
Il chip inoltre è stato già utilizzato per studiare un farmaco tumorale e studiarne gli effetti avversi, come la cardiomiopatia e la cardiotossicità.
Ma ulteriori studi riguarderanno l'impatto del covid sul cuore e i polmoni, le metastasi del cancro al seno e molto altro.
I risultati di questa ricerca dunque sono un enorme passo avanti verso la medicina di precisione, fornendo un altro strumento per creare soluzioni e terapie mirate e personalizzate per ogni paziente.
Quando si parla di intelligenza artificiale, e ultimamente se ne parla molto spesso, quasi sempre la si associa a un qualche algoritmo speciale, quasi magico, rivoluzionario, e che sta pian piano accompagnando l'essere umano verso nuove frontiere, riuscendo a risolvere problemi che fino a qualche anno fa sembravano troppo complessi da gestire.
Anche nel corso delle nostre puntate non abbiamo di certo trascurato il tema dell'intelligenza artificiale, analizzando e approfondendo l'argomento sotto diversi punti di vista o come soluzione a svariati problemi.
Ma alla fine questa intelligenza artificiale è davvero così intelligente? E soprattutto, è veramente un algoritmo su cui l'uomo non ha il controllo e che fa fatica a conoscere? Come magari potete immaginare, la risposta in entrambe queste domande è no.
In questa puntata cercheremo di capire meglio quali sono e come funzionano gli algoritmi, perlomeno i più diffusi, di apprendimento automatico, che sono alla base dell'intelligenza artificiale.
Innanzitutto, e questo lo abbiamo ribadito più volte, non esiste un'unica intelligenza artificiale in grado di risolvere diversi problemi, cosa che riesce invece molto bene a una mente umana.
E di conseguenza, chiaramente, non esiste una sola intelligenza artificiale, o per meglio dire algoritmi, molteplici di diversi tipi, anche combinati tra loro, e ognuno risulta più o meno adatto per un compito rispetto agli altri.
Iniziamo dal primo, che è probabilmente uno dei più semplici, ovvero il classificatore lineare.
Immaginiamo di avere una serie di dati, per esempio il peso e le dimensioni di un animale, e se questo è un gatto o un topo.
E l'obiettivo è quello di capire, date dimensioni e peso completamente nuovi, se ci troviamo davanti un topo o un gatto.
Per noi, si tratterebbe semplicemente di capire che un topo e un gatto hanno dimensioni e peso completamente diverse, e riusciremmo a distinguerli senza difficoltà.
Ma un computer come può fare in questo caso? Si tratta semplicemente di matematica, posizionando infatti i vari dati che abbiamo a disposizione, quindi dimensione e peso su un grafico, ci si può rendere conto che i gatti starebbero praticamente tutti in una zona, e i topi in un'altra, tra loro ben distinte e divise.
Ecco quindi che basta tracciare una linea che sia a metà tra le due zone, e avere così una formula che restituirà “gatto” se il punto sta al di sopra della linea, e “topo” invece se sta al di sotto.
Il classificatore lineare dunque compie esattamente questa operazione, trovando la linea divisoria e creando così una delle prime e più semplici intelligenze artificiali.
Un esempio di classificatore lineare, tra l'altro, è un algoritmo o modello ideato addirittura nel 1958, chiamato Percettrone, e che di fatto è stato uno dei primi esempi di apprendimento automatico non solo software ma anche hardware.
Negli anni ‘60 infatti venne costruita una macchina in grado di classificare delle immagini, utilizzando proprio questo modello come base.
Passando al secondo algoritmo, possiamo dire che è un'evoluzione del primo, ed è stato ideato negli anni novanta e si tratta di modelli chiamati “macchine a vettori di supporto” .
Dal nome sembra complicato, ma in realtà si può spiegare usando un minimo di matematica basilare.
Con l'esempio di prima immaginavamo che i dati fossero in due zone separate, divise da una linea retta, ma immaginiamo invece che questa linea non sia retta, ma abbia piuttosto la forma di una parabola o di un cerchio.
Il comportamento di questi modelli quindi è esattamente identico a quello precedente, con l'unica differenza che non si utilizzano linee rette come separatori.
Questi due modelli, descritti fino ad ora, sono dei cosiddetti classificatori binari, che in pratica possono dividere i dati in due soli gruppi.
Ma facciamo un altro esempio: immaginiamo di avere una serie di dati, una tabella, dove sono inserite diverse abitazioni con le loro informazioni, come i metri quadri, la città, la zona, il piano su cui si trova, le condizioni e così via.
E per ognuna inoltre ne conosciamo il valore a cui è stata venduta.
Come si potrebbe fare quindi per estimare il valore di un'abitazione completamente diversa, basandosi però su quelle informazioni? In questo caso non si tratta di restituire una risposta binaria, come nel caso del gatto e del topo, ma bisognerebbe restituire un valore numerico, ovvero il prezzo dell'abitazione.
Per risolvere questo problema esistono quindi altri modelli, o meglio altre categorie di modelli chiamati regressori, che invece di tracciare una linea che separa i dati in due zone distinte, al contrario cerca di tracciare una linea, che anche in questo caso può essere una retta, una parabola e così via, che più o meno passi vicino a tutti i punti che vengono utilizzati per addestrare il computer.
Tornando all'esempio delle case, quindi, da questo algoritmo otteniamo una formula che inserendo i metri quadri, le condizioni e tutte le altre informazioni della nostra abitazione, avremo un risultato con una stima verosimile del valore di quella casa con uno sforzo praticamente inesistente, dal momento che il computer avrà imparato, più o meno da solo, a fare quell'esatto calcolo.
Un'altra tipologia di modello di intelligenza artificiale, poi, è il cosiddetto “albero di decisione” .
Anche in questo caso probabilmente abbiamo visto degli esempi, magari li abbiamo utilizzati per compiere delle scelte.
E non sono altro che percorsi dove, rispondendo sì e no a diverse domande, si percorrono strade diverse fino a giungere a una decisione finale.
Prendendo nuovamente come esempio il mondo animale, un possibile albero di decisione potrebbe essere creato per classificare vari tipi di mammiferi in base alle caratteristiche fisiche, ad esempio se l'animale possiede o non il pelo, se ha quattro zampe, se possiede artigli e così via.
E man mano che si va avanti ci si avvicina sempre più all'esito finale.
Anche in questo caso dunque il computer, risolvendo operazioni matematiche e statistiche, riesce a creare dei dati che immettiamo in uno di questi alberi in completa autonomia.
Il vantaggio rispetto ad esempio a classificatori binari è che questo permette di avere per così dire più risultati finali.
Non più 0 o 1, gatto o topo, vero o falso, ma ad esempio diversi animali, anche se molto spesso o se non quasi sempre, vengono comunque utilizzati gli alberi di decisioni per classificazioni binarie.
Ma veniamo ora a quelli che probabilmente sono ormai i modelli più famosi utilizzati per creare intelligenze artificiali e che vengono anche nominati più spesso.
Stiamo parlando delle reti neurali.
Questi modelli sono chiaramente più complessi dei precedenti, ma sono quelli che si possono meglio adattare a qualsiasi compito.
Il modello a rete neurali, infatti, è quello che più si avvicina alla struttura, seppur molto più semplificata, dei cervelli biologici.
Entrambi, infatti, sono costruiti da neuroni, attraverso cui passa il segnale o i dati che vengono processati e viene restituito il risultato finale.
Con la differenza che, nel caso artificiale, un neurone non è altro che un componente, se così vogliamo definirlo, che in base ad un certo input si attiva restituendo un output, che, proprio come la sua ispirazione biologica, l'output di un neurone diventa input di un altro, secondo un peso che viene deciso in fase di addestramento.
Questo modello, tra l'altro, è stato ipotizzato ancora nel 1943 e si può considerare una sorta di evoluzione del Percettrone di cui abbiamo parlato poco fa.
La rete neurali, infatti, è costruita da una serie di neuroni di input, che nel caso del costo delle abitazioni può coincidere con le variabili considerate, quindi i metri quadrati, il piano e così via.
Nel caso di una fotografia, ogni pixel dell'immagine sarà associato a un neurone di input.
La rete neurali, infatti, è costruita da una serie di neuroni di input, che nel caso del costo delle abitazioni può coincidere con le variabili considerate, quindi i metri quadrati, il piano e così via.
Nel caso di una fotografia, ogni pixel dell'immagine sarà associato a un neurone di input e molto altro.
Di esempi, come abbiamo visto, ce ne sono anche troppi.
Chiaramente, oltre ai neuroni di input, avremo anche i neuroni di output, che anche in questo caso possono variare in base a ciò che vogliamo.
Infine, in mezzo ci sono diversi strati di neuroni, dove ogni neurone di ogni strato è collegato a tutti i neuroni dello strato successivo, creando fitte connessioni che possono portare a milioni di combinazioni di pesi diversi.
Usando funzioni matematiche, poi, i pesi di tutte queste connessioni vengono di volta in volta aggiornati, migliorati, in modo da rendere la rete neurale sempre più precisa rispetto ai dati usati per addestrare l'intelligenza artificiale.
Nel caso delle immagini, ad esempio, alcuni neuroni possono specializzarsi nel riconoscere delle linee dritte, altri le curve, altri ancora i colori, e passando per i vari strati e ricongiungendo i vari risultati si ottiene infine la decisione conclusiva.
L'ultimo principale modello di intelligenza artificiale, di cui è doveroso parlare, poi, è l'evoluzione delle reti neurali, chiamate reti neurali convoluzionali, che negli ultimi anni stanno dando numerosissimi contributi soprattutto nel campo della classificazione di immagini, dei sistemi di raccomandazione o dell'elaborazione del linguaggio naturale.
Nonostante la loro popolarità sia abbastanza recente, però, questo modello è stato proposto ancora nel 1998 e realizzato per la prima volta nel 2003.
Ma è solo grazie alla creazione di GPU sempre più potenti che si sono potute sviluppare così tanto nell'ultimo periodo.
La loro struttura è ispirata proprio alla corteccia visiva dei cervelli animali e sono composte da più livelli che si occupano di classificare ed estrarre ognuno diverse particolarità, ad esempio dell'immagine.
Per fare un esempio, un primo livello potrebbe riconoscere solamente linee orizzontali e verticali, il secondo forma è più complesse e via via fino ad arrivare a riconoscere persone, animali, oggetti e molto altro.
Rispetto alle reti neurali, che anch'esse possono risolvere questi problemi, tra l'altro, le reti neurali convoluzionali sono spesso più specifiche per questa tipologia di attività e quindi più adatte e più, per modo di dire, semplici e facili da addestrare.
Per concludere questo breve viaggio nel mondo forse un po più tecnico dell'intelligenza artificiale, è doveroso parlare anche dei problemi e delle difficoltà in cui ci si imbatte quando si decide di usare questa tecnologia per compiere delle specifiche attività.
Prima di tutto, come si fa a stabilire qual è il miglior algoritmo? O quali sono i parametri da utilizzare, ad esempio nel caso delle reti neurali il numero di neuroni o i livelli delle reti neurali convoluzionali? La verità è che molto spesso l'unica soluzione è andare a tentativi, cercando di volta in volta di capire quale sistema produce i migliori risultati, anche tenendo conto della complessità del modello stesso.
Ad esempio un classificatore lineare molto meno complesso, più facile da addestrare e leggero di una rete neurale.
E per classificazioni binarie come quelle di cui abbiamo portato l'esempio, del gatto e del topo sarebbe molto più adatta.
Il secondo problema da considerare è poi quello dell'overfitting, o letteralmente addestramento eccessivo.
Nel caso della regressione ad esempio, trovare una linea che incrocia esattamente tutti i punti inseriti produrrebbe un modello perfetto per i dati usati nell'addestramento, ma difficilmente valido magari per i dati completamente nuovi, e chiaramente l'intelligenza artificiale creata sarebbe inutile.
Di problemi in realtà ce ne sarebbero molti altri, anche se risolvibili e su cui numerose scoperte vengono fatte ogni giorno.
Ma l'ultimo, ma non meno importante, su cui è doveroso spendere qualche parola, è un problema sul piano etico.
Problema di cui avevamo approfonditamente parlato con IBM e in poche parole riguarda una sorta di pregiudizio o errore solitamente sul piano appunto etico che un'intelligenza artificiale compie proprio perché viene addestrata da dati prodotti dagli esseri umani.
Basti pensare ad un bot creato da Microsoft che si addestrava usando i tweet, che ha poi iniziato a prendere pieghe naziste e razziste e che per questo chiaramente è stato eliminato.
Tirando le somme, dunque, creare un'intelligenza artificiale non è semplice, e sono sempre di più i modelli e le soluzioni che si possono adottare per compiere al meglio specifiche e determinate attività.
Il contributo che questa tecnologia sta dando però è innegabile, aprendo le porte a nuovi ambiti che prima ci saremmo solo sognati di raggiungere, come le auto a guida autonoma, il riconoscimento di immagini e così via.
I problemi però non mancano e c'è ancora molto lavoro da fare prima di raggiungere risultati ancora più soddisfacenti e soprattutto liberi da bias, pregiudizi ed eticamente corretti verso la creazione di quello che, chissà, un giorno diventerà un vero e proprio cervello artificiale.
E così si conclude questa puntata di INSiDER - Dentro la Tecnologia.
Io ringrazio come sempre la redazione e in special modo Matteo Gallo e Luca Martinelli che ogni sabato mattina ci permettono di pubblicare un nuovo episodio.
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